Gastronomia, La cultura

I sapori di Roma: Miti e tradizioni

La cucina romana è profondamente radicata nella storia dell’Impero Romano e si è evoluta nel corso dei secoli, conservando una tradizione culinaria ricca e variegata. Le cauponae, le antiche osterie, erano il centro della vita sociale e gastronomica e offrivano piatti semplici ma gustosi, preparati con gli ingredienti disponibili nella campagna romana: erbe, verdure, pecore, capre e maiali. Durante il regno dell’imperatore Tiberio, il gastronomo Marco Gavio Apicio compilò il “De Re Coquinaria”, una delle prime raccolte di ricette romane, a testimonianza dell’importanza della cucina nella cultura dell’epoca. Nei secoli successivi, la tradizione gastronomica romana si arricchì dell’influenza della comunità ebraica, che introdusse piatti iconici come i carciofi alla Giudia. Un’altra importante svolta si ebbe alla fine dell’Ottocento con l’apertura del mattatoio di Testaccio, che promosse l’utilizzo del “quinto quarto”, le parti meno nobili del bestiame. Nacquero così piatti famosi come la coda alla vaccinara, la trippa alla romana, che ancora oggi rappresentano l’anima autentica e popolare della cucina romana. Questi piatti, nati dalla necessità e dalla creatività, sono diventati simboli della tradizione culinaria di Roma. Tra i piatti più popolari, conosciuti e ricercati della cucina romana ci sono i primi piatti come l’amatriciana, la carbonara o la cacio e pepe.

Non tutti sanno, però, che questi piatti sono entrati a far parte della cultura romana solo di recente: infatti, sia l’amatriciana che la cacio e pepe hanno una storia lontana da Roma, e la carbonara è comparsa nei ricettari romani solo negli anni ’50, con una ricetta molto diversa da quella che conosciamo oggi. L’amatriciana, inserita nell’elenco dei prodotti agricoli tradizionali del Lazio, è considerata una specialità della cucina laziale perché il comune di Amatrice, dove ha origine la ricetta, è passato dall’Abruzzo al Lazio nel 1927 ed è legata alla storia dell’Abruzzo nella sua versione originale bianca, chiamata gricia. La pasta era sicuramente legata ai pastori transumanti, che avevano pochi ingredienti a disposizione: tra questi c’erano sicuramente il guanciale, che si conservava bene, e il pecorino, che si ricavava dal latte di pecora. Alla fine del XVIII secolo, a questa ricetta, già in uso da qualche decennio nel vicino Regno di Napoli, si aggiunse il pomodoro, che si diffuse presto anche nelle zone dell’Abruzzo e poi del Lazio. L’arrivo di questa pasta a Roma è dovuto al fatto che molti osti e trattori della città erano originari della zona di Amatrice: il termine “matriciano” venne presto a significare “oste con cucina”. L’amatriciana si diffuse a Roma, dove gli spaghetti erano preferiti ai bucatini, e divenne un classico della cucina romana, anche se la sua origine era altrove.

La storia della carbonara è ancora più incredibile: si tratta in realtà di una ricetta nata durante la guerra, grazie alle razioni alimentari dei soldati americani, che comprendevano sempre uova e pancetta. I romani riuscirono a combinare questi ingredienti con altri tipici come il pecorino e la pasta, e ben presto nacque la famosa carbonara. La ricetta fu pubblicata per la prima volta negli Stati Uniti in Vittles and Vice, una guida illustrata ai ristoranti dell’area di Chicago, “An extraordinary guide to what’s cooking on Chicago’s Near North Side”, compilata da Patricia Brontè, mentre la prima ricetta pubblicata in Italia fu nell’agosto 1954 sulla rivista La Cucina Italiana. Questa ricetta includeva anche altri ingredienti come il formaggio Gruyere, il pepe e l’aglio. Negli anni Cinquanta, molti ristoranti di Roma offrivano anche ricette modificate con pancetta, prosciutto e persino funghi saltati. Uno dei piatti più antichi conosciuti a Roma è il supplì, che compare in alcuni dipinti della fine del XIX secolo. Il nome di questa polpetta di riso fritta con salsa deriverebbe dal francese surprise, con riferimento alla sorpresa della mozzarella filante all’interno del supplì. È quindi probabile che la ricetta sia stata introdotta nella prima metà del XIX secolo durante l’occupazione di Roma da parte dei soldati napoleonici.

I segreti meglio custoditi di Roma: 5 chiese nascoste che aspettano di essere scoperte

Roma, con la sua straordinaria ricchezza storica e culturale, nasconde tra le sue strade e le sue piazze alcuni gioielli meno conosciuti ma affascinanti: chiese che, anche se in parte nascoste agli occhi dei turisti, offrono un’esperienza unica di bellezza e tranquillità. Scopriamo insieme cinque di queste chiese segrete, autentici tesori che arricchiscono il patrimonio spirituale e architettonico della Città Eterna.

  S. Quattro Coronati

La Basilica dei Santi Quattro Coronati, situata nel quartiere Celio di Roma, è una chiesa romana molto antica che nasconde sorprese dietro la sua facciata austera. La chiesa assunse la forma attuale tra l’XI e il XII secolo, con adattamenti carolingi e medievali. Secondo la tradizione, i santi titolari, Castorius, Symphronianus, Claudius e Nicostratus, erano martiri cristiani che si rifiutarono di scolpire idoli pagani sotto Diocleziano. La basilica contiene un prezioso chiostro e la Cappella di San Silvestro, famosa per i suoi affreschi del XIII secolo che raffigurano le leggende di Papa Silvestro e dell’Imperatore Costantino. La chiesa, che ospita ancora un monastero agostiniano, presenta anche affreschi gotici e un interessante organo barocco.

S. Maria dell’Anima

La chiesa di Santa Maria dell’Anima a Roma, fondata nel XIV secolo come oratorio dell’Ospizio tedesco, è la chiesa nazionale della comunità cattolica di lingua tedesca. Ricostruita per il Giubileo del 1500 e consacrata nel 1542, combina elementi gotici e rinascimentali, con una facciata di Andrea Sansovino. Tra le opere più importanti vi sono la pala d’altare di Giulio Romano, la tomba di Papa Adriano VI e la cappella dei Margravi di Brandeburgo con affreschi di Francesco Salviati. Degni di nota sono anche i “Miracoli di San Bennone” e la “Pietà” di Lorenzetto.

S. Bernardo alle Terme

La Chiesa di San Bernardo alle Terme, situata in Piazza San Bernardo a Roma, è un affascinante esempio di adattamento architettonico. Costruita tra la fine del XVI e il XVII secolo all’interno di uno sferisterio delle Terme di Diocleziano, fu dedicata a San Bernardo di Chiaravalle dalla contessa Caterina Sforza Cesarini. Con una grande cupola cilindrica simile a quella del Pantheon, si distingue per la sua caratteristica “assenza di finestre”, illuminata solo da un oculo. All’interno si trovano otto statue barocche di santi di Camillo Mariani e affreschi di Giovanni Odazzi. La chiesa conserva una straordinaria armonia architettonica e decorativa, esemplare dello stile del XVII secolo.

S. Ignazio

La Chiesa di Sant’Ignazio a Roma fu costruita nel 1626 per sostituire l’antica Chiesa dell’Annunziata, non più sufficiente per gli studenti del Collegio Romano. Dedicata a Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, la sua costruzione fu finanziata dal cardinale Ludovico Ludovisi. Celebre per il magnifico affresco di Andrea Pozzo, realizzato nel 1685, il soffitto della chiesa raffigura la Gloria di Sant’Ignazio con una straordinaria illusione prospettica. La tecnica del trompe l’oeil crea l’impressione di un’architettura celeste, collocando lo spettatore in un tempio immaginario sovrapposto a quello reale.

S. Maria della Pace

La chiesa di Santa Maria della Pace, situata nell’omonima piazza di Roma, è un capolavoro dell’architettura barocca progettato da Pietro da Cortona tra il 1656 e il 1667. La facciata, dall’ardito disegno teatrale, si protende in avanti e si inserisce in un ampio spazio trapezoidale creato dalla demolizione di edifici preesistenti. All’interno, la chiesa contiene splendide cappelle rinascimentali e barocche, tra cui la Cappella Chigi con affreschi di Raffaello e Timoteo Viti. Il chiostro, progettato da Bramante, è una delle opere rinascimentali più importanti di Roma e ospita mostre temporanee. Santa Maria della Pace è uno straordinario esempio di come l’architettura possa coniugare storia e arte.